Le origini del tortellino sono complesse, rappresentano un terreno di scontro tra Modena e Bologna. Perché la pasta ripiena è un affare tutto emiliano.
Tutta la via Emilia può raccontare la storia della pasta ripiena, con piccole o grandi varianti.
La pasta fresca veniva preparata tutti i giorni, mentre quella ripiena serviva per festeggiare e sancire momenti unici, come matrimoni, natale e feste comandate.
La paternità del tortellino è ambita, contesa. La posta in gioco del resto è importante, perché parliamo di uno dei simboli gastronomici emiliani per eccellenza, una prelibatezza riconosciuta in tutto il mondo. La sua forma ricorda un piccolo anello e il ripieno è un misto di varie carni con prosciutto, mortadella, parmigiano e noce moscata. Si tratta di un primo piatto tradizionalmente servito in brodo, di cappone o di gallina, e il segreto per prepararlo al meglio sta nella tecnica di stesura della pasta e, ovviamente, nella scelta di materie di prima qualità. Il suo nome riprende il dialetto bolognese turtlén, con una variante modenese turtlèin. In ogni caso l’etimo si ritrova nel diminutivo di tortello, dal termine italiano torta.
Le origini del tortellino sono ambigue, intrise di racconti e leggende, chiamano in causa personaggi storici e divinità. Venere prima di tutto. Sì, perché è dal suo ombelico che prenderebbe forma il prodotto. La leggenda fa risalire il tutto all’episodio della Secchia Rapita, sfociato in una delle grandi battaglie del Medioevo, quella del 1325 tra Bologna e Modena. La causa scatenante fu proprio il furto di un secchio tarlato. Seguendo la narrazione del poeta modenese Alessandro Tassoni nel 1624, poi ripresa nell’800 da Giuseppe Ceri, alla battaglia avrebbero preso parte, parteggiando per i modenesi, anche le divinità Venere, Bacco e Marte. Dopo aver passato la notte in una locanda a Castelfranco, Venere fu sorpresa completamente nuda dal proprietario che andò a svegliarla. L’uomo ammaliato tentò di riprodurne le fattezze, nello specifico dello splendido ombelico, con un fazzolettino di pasta. Vista la disputa per la paternità del tortellino tra le due città emiliane di Modena e Bologna, non è di certo un caso che Ceri collochi la nascita della pietanza proprio a Castelfranco, comune al confine tra le due province. L’unica certezza è che la patria sia l’Emilia.
Lo storico Cervellati segnala la presenza dei Tortellorum ad Natale nelle tavole bolognesi a già nel secolo XII. I primi riferimenti letterari compaiono proprio nel 1300, con una ricetta redatta in dialetto modenese. Nel ‘400 il tortellino è protagonista di una novella di Boccaccio, ma le testimonianze più rilevanti arrivano dal 1500 in poi. Nel diario del Senato di Bologna si riporta più volte la dicitura minestra de torteleti, mentre nel 1570 il bolognese Bartolomeo Scappi, cuoco personale di Pio V, inserì la ricetta dei tortellini in una raccolta di migliori piatti.
Nell’anno 1664 Vincenzo Tanara, ne L’economia del cittadino in Villa, parla di “tortellini cotti nel burro”. E quasi due secoli più tardi, nel 1842, il viaggiatore e bibliografo francese Antoine-Claude Pasquin, detto Valery, riporta di un “ripieno di sego di bue macinato, tuorli d’uovo e parmigiano” che si potrebbe leggere come un antenato meno raffinato dell’attuale ripieno.
Una delle date più importanti per il tortellino è il 1904. In quell’anno i fratelli emiliani Bartani partecipano alla fiera di Los Angeles, presentano i loro tortellini e inventano il modo di conservarli. Da quel momento il piatto bolognese conquista il mondo, fino alla consacrazione ufficiale, avvenuta il 7 dicembre 1974 con il deposito della ricetta originale, quella dei tortellini in brodo, da parte della Dotta Confraternita del Tortellino presso la Camera di Commercio di Bologna.